Visita all’area montaggio motori in Ducati

Visita all’area montaggio motori in Ducati

Vi invitiamo a fare con noi un viaggio, mai percorso prima, nella storia dei motori Ducati. Partiamo dall’area montaggio motori, una zona off-limits.

Ci dispiace, ma non c’è proprio niente da fare: purtroppo nessuno di voi, carissimi lettori, avrà mai modo di entrare in questo reparto, in quanto qui si svolgono lavorazioni e compiti che devono rimanere assolutamente riservati. Tanto per capirci, vi si accede con uno specifico badge che hanno solo i diretti interessati; agli eventuali visitatori della fabbrica non rimane che “spiare” velocemente dal piccolo oblò posto sulla porta d’ingresso.

Guardate quindi con attenzione queste foto perché non ci saranno tante altre occasioni simili in futuro: con l’occasione, un grazie di cuore ai ragazzi dell’Ufficio Comunicazione Ducati che ci hanno permesso di entrare in questa zona dell’azienda dove si svolge un lavoro fondamentale: in pratica, con specifica relazione ai propulsori, qui si testa, si verifica e si sviluppa quanto viene realizzato negli uffici di progettazione.

I motori delle vostre nuove Ducati, quindi, prima di giungere in produzione, passano di qui proprio per essere certi che quello che verrà prodotto sia conforme alle intenzioni e aspettative dei progettisti, apportando, se necessario, le opportune modifiche.

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Gianluigi Mengoli e Gianfranco Zappoli alle prese con un prototipo del 1978: un 48 cc due tempi con frizione automatica. Doveva forse essere concorrente del Ciao?

Ovviamente, non siamo qui per svelare qualche segreto legato alla futura produzione Ducati, ma per una curiosa e peculiare caratteristica di questo luogo molto particolare all’interno della fabbrica: infatti, qui dove si immagina il futuro, dove si trasformano progetti in prodotti reali, c’è anche, come vedete dalle foto, tantissima storia; anzi, tutta la storia dei motori Ducati.

Un ingegnere che lavora qui, quindi, passa, tocca e respira quello che uomini come lui, anche se con mezzi infinitamente più limitati, hanno progettato quando magari non era neanche nato!

Anche in questo caso possiamo parlare di occasione unica: non crediamo che ci sia mai stata prima la possibilità di vedere tutto insieme questo reale e incredibile ben di Dio!

Sapete quanti sono? Ben centotredici! Fra di loro motori andati in produzione, ma anche prototipi o semplici esperimenti che non hanno mai visto la luce del sole. Questo è quindi il momento di passare a nuovi ringraziamenti: senza l’interesse di Gianluigi Mengoli, Direttore Tecnico Motori, e di Gianfranco Zappoli e Giuliano Golinelli della Fondazione Ducati, questa visita non sarebbe mai stata possibile.

Del resto, è merito soprattutto loro se tanto e così importante materiale è rimasto in fabbrica, considerato come, nei decenni scorsi, fosse triste consuetudine “fare pulito”, vendendo moto e motori a peso, in stock. Oggi si inorridisce solo al pensiero che oggetti di così grande valore possano essere stati venduti come ferro vecchio, ma purtroppo nel passato era così.

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I motori sono ovunque, anche al secondo piano e all’interno degli uffici.

Ma andiamo con ordine, partiamo dalla storia di questo luogo molto particolare, anche fisicamente, posto fra i computer degli ingegneri (una volta erano i tavoli da disegno) e i macchinari della produzione: “Questo è un reparto particolare, che ha fatto la storia di Ducati e di tante persone – ci dice Zappoli – Ho iniziato a lavorare in Ducati nel 1973 quando questo era il reparto di rodaggio motori diesel e vi erano solo due sale prova per i motori da moto. Tutto era completamente diverso da oggi: bisognerebbe guardarlo con gli occhi di 50 anni fa per vedere la differenza. Tanto per fare un esempio, quando gli impianti venivano spostati al loro posto rimaneva un bel buco!”.

In parte, influivano le ristrettezze in cui versava l’azienda all’epoca. Erano gli anni in cui era stato ampliato lo stabilimento per diversificare la produzione e si costruivano anche tanti motori diesel. Infatti, alla fine degli anni settanta, la Ducati venne spostata dall’Efim all’IRI, nel gruppo motoristico con capofila la VM di Cento: “Qui c’era una sala prove fatta per i Diesel – ricorda infatti Mengoli – con solo due sale prove, in fondo, per le moto, perché queste dovevano morire. Era un reparto di produzione. C’erano 14 cabine di produzione per i motori diesel, poi di là c’era il reparto esperienze. Ed è rimasto così fino all’inizio degli anni 90: qui si faceva il rodaggio dei motori diesel”.

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Gli “ambasciatori” che ci hanno condotto alla scoperta di questa serie infinita di propulsori che hanno fatto la storia di Ducati: da sinistra, Giuliano Golinelli, Gianfranco Zappoli, Giuseppe Di Marco e Gianluigi Mengoli che della Fondazione Ducati è anche Presidente.

Anche con l’arrivo della Cagiva, nel 1985, le cose non migliorano poi tantissimo: “Ai Castiglioni – dice Mengoli – bisogna dire grazie per tante cose, ma sui macchinari, sul miglioramento della situazione produttiva non è che investivano molto: fu una sopravvivenza andata a buon fine grazie a gente appassionata. Il grande investimento è stato fatto con l’arrivo degli americani. Con loro arrivano i soldi, i primi investimenti nell’azienda: sale prove, banchi e il pistino esterno. Questo è stato molto determinante. Poi dopo si è continuato, fino alla situazione attuale”.

Solo con l’ottimizzazione del reparto e una sua configurazione simile all’attuale è venuta l’idea di sistemare qui i motori che venivano via via omologati, insieme a quelli che, a fatica, erano stati nel tempo recuperati, come ci ricorda Mengoli: “Entrando nel Reparto c’era questo corridoio che era vuoto, spento, statico. Quindi c’è stata l’idea di metterci qualcosa: prima qualche manifesto, poi dei motori. Alla fine è venuto fuori questo risultato: abbiamo iniziato a metterli in fila, ogni anno ne uscivano fuori sette/otto, ora siamo appunto arrivati a centotredici”.

Stupisce, fra questi motori, il numero dei prototipi, degli esperimenti.

Mengoli ci spiega il perché: “All’epoca i progetti nascevano così, non c’era un’indagine per capire cosa andasse prodotto. Anche l’Ing. Taglioni se voleva fare una cosa la faceva, anche se dietro non c’era un’idea di mercato. Venivano le idee in modo estemporaneo. Non c’era programmazione neanche per i motori che andavano in produzione, preoccupandosi della loro standardizzazione o di curarne l’industrializzazione. E’ stato grazie alla VM, con i motori diesel, che abbiamo capito come fare le cose, soprattutto in base alle potenzialità effettive. Con l’Ing. Bordi iniziammo a far sì che tutti gli attacchi motore fossero negli stessi punti, che la stessa scatola filtro potesse andare su tutte le moto: alla fine, l’obiettivo, per la stessa famiglia di moto, era cambiare solo l’albero motore, il cilindro e il pistone. Così da un grezzo di una testa si potevano fare tutte le cilindrate. Quando facemmo la famiglia SS tutti i telai erano gli stessi, dal 350 in poi: con così poche moto prodotte, come quelle della Ducati dell’epoca, non potevi fare altrimenti. Bisognava cercare quell’equilibrio che consentisse la sopravvivenza”.

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Certamente sono poche le aziende nel mondo che si possono permettere di “accompagnare” il lavoro dei propri dipendenti con così tante e preziose testimonianze. Un museo che non è un museo, ma assomiglia quasi a un monito per chi vi lavora, un invito ad essere all’altezza dell’ingegno e della dedizione di chi in quei compiti li ha preceduti, in condizioni di lavoro e di disponibilità di mezzi completamente diversi da quelli attuali.

Ma come sono stati recuperati questi motori, di chi è il merito storico della loro conservazione all’interno di Ducati: “A livello di archivio, di materiale cartaceo, mi sono spesso trovato da solo – continua Mengoli – con qualche ragazzo dell’Ufficio Tecnico, ma pochi. Zappoli ha invece recuperato un po’ di tutto grazie anche a Farné e ai suoi ragazzi che quando realizzavano un motore a volte lo mettevano da parte. Molto è stato fatto da chi ci ha preceduto, tante persone del Reparto Esperienze, anche qualcuno del Commerciale, come Valentini”.

Poi – continua Zappoli – un momento molto importante è stato quando è partita l’operazione di restaurare le moto in funzione del nascente Museo, cercando di recuperare quanto c’era in fabbrica, lavorando con Primo Forasassi e Giuliano Pedretti. Però tanto materiale l’abbiamo dovuto cercare fuori perché, al contrario di quanto veniva fatto in azienda, il mercato ha conservato tutto quello che era inerente alla Ducati. In fase di restauro, a volte capitava di essere di fronte a un motore a cui mancava qualche pezzo: allora dovevi andare a cercare un depliant o un disegno tecnico, oppure cercare in azienda qualcuno che lo conoscesse per capire com’era fatto quel pezzo. Diversi motori presentavano parti mancanti: anche su internet siamo andati a cercare, soprattutto da quei commercianti che all’epoca avevano comprato i pezzi a stock da Ducati. Capita che anche loro a volte ci interpellino, perché hanno ancora delle casse di allora da aprire e non sanno cosa sono: anche ultimamente è successo con dei motori di cui non avevano idea di cosa fossero!”.

Insomma, questi oltre cento motori che intravedete nelle foto hanno veramente tanto da raccontare: come sono nati, le aspettative e le speranze in loro riposte, le difficoltà del loro recupero e del loro restauro.

Una storia affascinante che rappresenta la spina dorsale di un’azienda come Ducati, che costituisce una realtà sportiva e performante che quest’anno raggiunge un importante traguardo con i suoi 90 anni di storia.

Foto di Enrico Schiavi

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